Se non ricordo male, il primo divieto risale al 1975. Riguardava i mezzi pubblici e i cinema. Il divieto fu rispettato, forse a suon di multe, ma divenne presto parte della mentalità comune e non era scontato. Mi viene in mente mio padre che, pur essendo fumatore, rimproverò un passeggero sul tram con la sigaretta accesa e questi reagì ridendo, come fosse una cosa ridicola, pignola, prendere il rispetto della legge.
Legge voluta da quale partito? Chiese retoricamente. Negli anni ’70 tutto era politico e ideologico, anche il modo di schierarsi rispetto al divieto di fumare. Oggi, ma ormai da molti anni, accendere una sigaretta sul tram, sul pullman, sul metrò, sul treno, su qualsiasi mezzo pubblico, significherebbe fare la figura del barbaro o del pazzo e susciterebbe una protesta collettiva.
La consapevolezza dei pericoli che il fumo comporta per la salute è cresciuta, ma non saprei dire se in modo determinante. I fumatori, pur dichiarando di saperlo, vedono il pericolo in modo differito e sperano di farla franca. I non fumatori, reagiscono per la puzza oppure perchè avvertono subito qualche segno di malessere, per esempio un leggero mal di gola. Quello che è cambiato è lo status del fumatore, l’associazione di idee. Se prima il fumo era associabile al fascino, al modo d’essere intellettuale o erotico, oggi è associabile soprattutto alla puzza, all’alito pesante, alle dita ingiallite, poi certo anche alla storia di qualche malato di tumore.
Se ripenso alla mia storia di fumatore, mi sembra che il percorso sia durato almeno vent’anni. Ho iniziato a fumare a 14 anni, nel 1980, insieme alla mia banda del muretto. La prima volta mi fece schifo, ma non mi diedi per vinto. Diventavo adulto, ero come mio padre, come i miei amici più grandi e con le sigarette avvicinano pure le ragazze, anzi erano loro che si avvicinavano a me, per scroccare. A scuola, durante l’intervallo, era tutto uno sfumazzamento, e con la sigaretta gli studenti si mettevano in pari con i professori. A fumare erano i leader della Fgci e, tra gli altri, ricordo un personaggio fascinoso come Lucio Magri, un fumatore da competizione, irriducibile a qualsiasi divieto, credo consumasse tre pacchetti al giorno.
In realtà, era dubbio io fossi un autentico fumatore. Fumavo sigarette leggere e non mandavo giù il fumo nei polmoni. Forse ero un fumatore di pipa. Me ne convinsi ammirando la figura di Luciano Lama, all’epoca segretario generale della Cgil, all’epoca il simbolo dei fumatori di pipa, il “ministro delle pipe” lo sfotteva Alighiero Noschese nelle sue imitazioni. Ed io mi comprai una Peterson a 17 anni, per essere come Lama, sotto lo sguardo scettico del tabaccaio. Si impara per imitazione, lo stesso Lama apprese imitando il fumatore di pipa Bruno Trentin.
A quell’età avevo la passione degli Spaghetti Western e così sulle note di Ennio Morricone assaporavo anche i toscani, immaginando Clint Eastwood. Una sofferenza, ma se ce l’avevo fatta con le sigarette e la pipa, ce l’avrei fatta anche con i sigari. D’altra parte, fumare aiutava a rilassarsi, ad aspettare il proprio turno, ad ascoltare con tolleranza le idee diverse, a far arrivare il pullman, a curare la stitichezza. E se non era vero, il fatto di esserne convinto comunque aiutava. Finchè, un bel giorno, la mia fidanzata, mia futura moglie, venne a convivere con me, e mi impose di smettere, perchè lei non voleva saperne di cattivi odori. Siamo verso la fine degli anni ’90. Ma il declino della sopportazione altrui era iniziato molto anni prima, nelle riunioni di partito. Nel 1982-83, al circolo e in Federazione si fumava sigarette normalmente. Nel 1986-87, mi sembrava di fare un figurone con la pipa, o almeno gli altri me lo lasciavano credere, ma già nel 1990 mi accadeva si suscitare proteste e una volta persino di essere allontanato. Dunque, cominciai per diventare un leader, intellettuale e affascinante, e finii per essere un maleducato puzzolente e inquinante. L’atto di fumare, quei gesti di stile, venivano fraintesi per comportamento molesto e a quel punto non ne valeva più la pena.
Al contrario di molti ex fumatori, per molti anni ancora, non mi sono mai mostrato intollerante verso gli irriducibili, anzi ogni tanto avevo cura di scroccare, così giusto per mostrare empatia e condivisione, oppure garbatamente dichiaravo di non provare fastidio. Finchè non lessi di una signora impiegata alla Regione Lazio, mai fumatrice, morta di cancro ai polmoni, a causa del fumo dei suoi colleghi. Ammalatasi, fece causa alla Regione e vinse. Una obiezione comune dei fumatori è che il fumo è nulla rispetto allo smog, ma non è vero ed è comunque una contrapposizione priva di senso: l’inquinamento uccide ottomila persone l’anno in Italia, il fumo ne uccide ottantamila. Dunque, come non approvare la legge Sirchia, il divieto di fumo nei locali pubblici? Mi sembra un provvedimento elementare, naturale. Eppure, la reazione di molti fumatori, è stata arrogante, offesa, vittimistica, come se si trattasse di un attentato alla loro libertà personale. Da allora, la mia empatia nei confronti dei fumatori si è spenta nel posacenere e oggi vedo con favore tutte le norme volte a limitare il fumo, anche negli ambienti all’aperto come i giardini o le stazioni, dove di passaggio o in sostanza si può infastidire chi non fuma, specie le donne gestanti e i bambini o persone malate d’asma.