Gli impresentabili devono ritirarsi?

pompea-silla-moglie-cesareUn politico sotto inchiesta o rinviato a giudizio ha il diritto di proseguire la sua carriera, di mantenere i suoi incarichi, di essere un candidato eleggibile? Penso di si, almeno fino alla condanna definitiva, salvo valutare la situazione: se per esempio rientra tra i criteri per cui la magistratura deve o può disporre la custodia cautelare, che nel caso di deputati o senatori richiede l’autorizzazione delle camere, per l’istituto dell’immunità parlamentare. Se un politico, non ancora condannato, ha la fiducia, il consenso del suo partito, del suo elettorato, per me può proseguire. Lo penso in linea di diritto, perché si è innocenti fino a prova contraria, anche se posso pensare in modo diverso sul piano dell’opportunità: per una questione di immagine, perché voglio pretendere dai miei rappresentanti una moralità al di sopra di ogni sospetto, perché reputo che l’illegalità in politica sia sistemica e richieda di essere contrastata con una severità intransigente. Oppure posso dare sostegno al politico accusato, perché sono convinto che la legge non sia stata violata; che la legge violata sia fraintendibile, ingiusta o incompatibile con uno stato di necessità. Opinioni discutibili, ma legittime.

In sede politica, la valutazione sul piano del diritto esclude la condanna, quella sul piano dell’opportunità implica il giudizio. Spesso nel dibattito pubblico condanna e giudizio sono confusi: in nome del rifiuto di condannare, poiché la condanna spetta solo ai giudici, è rifiutato anche il giudicare, nonostante il giudizio spetti ad ognuno, all’opinione pubblica, che ha perciò diritto di essere informata in modo corretto e completo. Altrimenti, il garantismo si traduce in censura. In questo senso, segnalare sulla base di atti autentici e pubblici i candidati «impresentabili», cioè aventi cause aperte con la giustizia, in occasione di una scadenza elettorale, non è una violazione della legge, un attentato alla Costituzione, un processo di piazza. E’ un servizio reso alla collettività, affinché possa ben valutare. Si può discutere a chi competa dare questo servizio. Se si ritiene non competa ad una commissione parlamentare (l’antimafia), bisogna mettere in discussione il codice etico approvato da tutti i partiti, che dispone tale competenza, invece di attaccare l’iniziativa esecutiva della presidente di commissione.

Tra i segnalati per le elezioni ammistrative del 31 maggio, come è noto, ce n’è uno che coinvolge la responsabilità del capo del governo e del maggior partito politico. La segnalazione di questo candidato è vissuta dal segretario presidente come un atto di vendetta politica ai propri danni, poiché la presidente della commissione antimafia è esponente di minoranza del suo partito. Tuttavia, il segnalato rientra nei criteri e non poteva essere escluso, né si poteva evitare di applicare il codice etico solo per evitare di nominare lui. Il suo caso era già molto conosciuto e discusso, in quanto ritenuto ineleggibile ai sensi della legge Severino e amplificato da una serie di gag e imitazioni da parte di un comico piuttosto famoso. La segnalazione dell’antimafia non aggiunge nulla di più e di nuovo, se non la reazione da insindacabile di chi se n’é sentito o se n’é mostrato vittima. E’ stato obiettato che a sole 48 ore dal voto, gli impresentabili segnalati come tali e i partiti che li hanno candidati non hanno il tempo sufficiente per replicare, spiegarsi, giustificarsi, ma al tempo di Internet e dei social media, questo è un falso problema: le organizzazioni e i personaggi pubblici hanno tutti i mezzi per divulgare con tempestività il loro punto di vista. Il PD è già molto preparato dalle tante discussioni sulla eleggibilità del sindaco di Salerno a presidente della Campania. Tra ieri e oggi, poteva scegliere di divulgare una spiegazione invece che un risentito linciaggio.

Il filosofo e il vitalizio del parlamentare

Cacciari VitalizioMassimo Cacciari ha dichiarato che dei vitalizi degli ex parlamentari non gliene frega un cazzo, in risposta ad un giornalista di Libero che lo interpellava sul suo vitalizio. Libero in questo periodo sta mettendo alla berlina alcuni onorevoli in pensione, soprattutto di sinistra, tra cui per esempio Achille Occhetto. L’Espresso, con l’immagine che potete vedere qui di lato a sinistra diffusa su facebook, ha collocato la dichiarazione nello stupidario, la rubrica dedicata alle peggiori esternazioni politiche della settimana. Sui social media, la dichiarazione dell’ex sindaco di Venezia ha raccolto molti commenti variamente sfavorevoli e insultanti. In effetti, il pensiero del filosofo veneziano sembra proprio difficile da difendere. Tuttavia, mi ispira una certa comprensione e, per la sua antidemagogica ostentazione, persino un po’ di simpatia. Perchè esiste un’attenzione sproporzionata nei confronti dei privilegi dei politici, che raccoglie consensi fin troppo facili.

I costi della politica, compreso il vitalizio del parlamentare, sono troppo alti e ingiustificati, specie in tempi di austerità, e concorrono alla diseguaglianza, ma nell’insieme fanno poca cosa. L’adeguamento alla media degli altri paesi europei è doveroso, ma del tutto insufficiente per redistribuire ricchezza, per pagare il debito, aumentare le pensioni minime, lo stipendio degli insegnanti, istituire il reddito di cittadinanza. I privilegi della casta sono una piccola parte dei privilegi della parte più ricca del paese, quel decimo che possiede metà della ricchezza nazionale, fatta di imprenditori, manager, banchieri, finanzieri e vip, spesso evasori fiscali, che solo raramente subiscono gogne mediatiche e quando le subiscono gli succede a titolo personale e non in rappresentanza di una categoria come accade ai politici. Stipendi e pensioni dei parlamentari e dei politici di professione sono nel mirino, più per un sentimento punitivo antipolitico, che per spirito di equità. Difficile che contro la politica si possa fare la giustizia sociale.

Su stipendi e pensioni troppo alte, sull’accumulo di redditi, di funzionari, manager dello stato e rappresentanti istituzionali si interviene con tagli, riduzioni e tetti, per generare la percezione di un atto simbolico di equità, ma con effetti limitati, quando invece è possibile con più efficacia applicare una tassazione progressiva forte, senza distinzioni tra categorie o tra pubblico e privato.

Dentro o fuori?

san-pietro-2La sinistra dem confligge con il governo a guida PD su tre riforme importanti: lavoro, scuola, sistema elettorale. Tre questioni sufficienti a definire una dialettica governo-opposizione, tanto che la sinistra dem ha una visibilità paragonabile, se non superiore, a quella delle opposizioni ufficiali: il M5S, Forza Italia, la Lega nord. Questo mette la sinistra dem nella situazione di essere un partito alternativo nel partito, una opposizione nella maggioranza, quindi nella condizione di dover alla fine votare provvedimenti contestati per mesi nelle dichiarazioni pubbliche oppure di dover violare la disciplina del vincolo di partito e di maggioranza con il voto contrario. Una situazione eccezionale, destinata a logorarsi se replicata più volte, specie se ogni volta risulta perdente. Così si pone alla sinistra dem un dilemma classico: dentro o fuori?

Ho vissuto questo dilemma più di una volta, in particolare nel 1989-91 quando il PCI fu trasformato in PDS, e l’ho sempre risolto con una separazione. Nell’impegno politico, preferisco sentirmi a casa anziché ospite tollerato o infiltrato. Soffro lo scarto tra responsabilità e potere: stare in un gruppo da dissidente significa assumersi responsabilità senza avere il potere di condizionare le scelte di cui si è corresponsabili. Sento la velleità, il non senso, di una battaglia controcorrente: un gruppo può essere corretto nei mezzi, nei modi, nei tempi, ma non nella direzione. Condividere la direzione è presupposto dello stare insieme. A interferire con la scelta della scissione sono state spesso le relazioni personali. Ma alla fine ne ho fatto sempre un punto d’orgoglio: per coerenza politica e ideologica sono capace di separarmi da persone amiche. Salvo poi ritrovarmi con degli estranei. L’affinità, oltre che di principi ideologici e di orientamenti politici è fatta anche di pratiche, e di qualcosa che mi sfugge, che fa si che con alcune persone ti trovi bene e con altre meno.

Le relazioni personali frenano la scelta di separarsi anche in negativo. Lo scissionista è una figura disprezzata, un traditore. E nei grandi partiti sono disprezzate le minoranze, ritratte come pure e dure, ma ininfluenti. Tuttavia, oggi gli stessi grandi partiti e persino i governi sono in difetto di autorevolezza e di influenza, tanto che molti elettori li lasciano per rifluire nell’astensione. Ha colpito la vicenda della riforma delle pensioni di Elsa Fornero, voluta dall’Europa e bocciata dalla Corte Costituzionale. Il potere politico stretto in mezzo chiamato ad applicare direttive di altri poteri. La debolezza del potere politico è una condizione favorevole per trasformismi e mutazioni genetiche. E’ nel perimetro di questa debolezza, che ci chiediamo se stare dentro o fuori, cioè in quale posizione irrilevante collocarci, per candidarci alle elezioni. Invece di approfittare di un potere debole, per tentare di ricostruire una posizione morale forte. I partiti storici sono nati intorno a giornali e riviste, legittimati da una prassi e una teoria. E’ impressionante l’agonia e la falcidia di giornali e riviste avvenute negli ultimi vent’anni. Nell’immediato, più che di un nuovo partito, sento il bisogno di un nuovo giornale, una nuova rivista e del pensiero di una pratica politica, che comprenda partecipazione elettorale e rivendicazioni o difesa di diritti da parte dello stato, ma che pure sappia farsi stato come accadeva alle origini del movimento operaio con il mutuo soccorso.

Italicum e «democrazia in pericolo»

ItalicumUna buona legge elettorale concilia la rappresentanza con la governabilità. Poiché, l’equilibrio mai è perfetto, ogni legge è più orientata verso un principio o verso l’altro. Dal dopoguerra agli anni ‘80, con il fascismo ancora vivo nella memoria e i partiti di massa forti di consenso e partecipazione, il sistema elettorale proporzionale – una sola legge dal 1946 al 1993 – privilegiò la rappresentanza. Dai primi anni ‘90 ad oggi, tra vulgate revisioniste e partiti indeboliti, le leggi elettorali maggioritarie hanno privilegiato la governabilità. L’Italicum è ormai la terza legge della ventennale svolta in senso maggioritario e leaderistico del sistema politico italiano.

Il sistema proporzionale votato alla rappresentanza realizzò il parlamento specchio del paese, si adattò al pluralismo reale e prefigurò un governo mediatore di diversi interessi, retto da una maggioranza formata dall’alleanza di più minoranze. Quel sistema conviveva con due principi consolidati riguardo norme e procedure della democrazia 1) che le regole fossero condivise dal governo e dall’opposizione o almeno da una maggioranza qualificata; 2) che le regole fossero concepite per durare nel tempo. Il sistema maggioritario votato alla governabilità, non ha invece realizzato la stabilità politica e l’efficienza decisionale; invece di adattarsi al multipartitismo ha provato a imporre il bipolarismo, ed ha prefigurato per il governo il primato della minoranza più forte e del suo leader, mediante l’alterazione del voto. Questo sistema si è accompagnato, in materia di riforme elettorali e istituzionali, al ripiego su principi contigenti. Così si è arrivati alle due ultime leggi (il porcellum del 2005 e l’italicum del 2015) approvate dalla sola maggioranza di governo contro l’opposizione delle minoranze, per avere come orizzonte temporale soltanto la prima scadenza elettorale. Dati questi precedenti, qualsiasi governo successivo può sentirsi legittimato a cambiare di nuovo la legge secondo la sua immediata convenienza.

L’attuale governo ha persino chiesto la fiducia sulla nuova legge elettorale, perchè il presidente del consiglio non si fida della sua maggioranza, neanche dopo che la stessa ha bocciato le pregiudiziali di costituzionalità. Se tale procedura è legale, costituisce comunque una forzatura che rende dubbio il consenso effettivo anche solo di una maggioranza semplice. Gli oppositori accusano il governo di mettere in pericolo la democrazia. I sostenitori del governo giudicano l’accusa del tutto sbagliata o quanto meno molto esagerata, come erano esagerate in passato analoghe accuse contro i governi di destra quando approvavano leggi ad personam. In effetti, la democrazia non è stata e non è sull’orlo di precipitare nella dittatura, ma da molto tempo sta su un piano inclinato. Con modi più spicci, il governo in carica prosegue su quel piano.