Coronavirus e influenza | Il documento OMS sulle differenze

Coronavirus e influenza. Un documento dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ne spiega le differenze. Adesso è evidente che la nuova pandemia non è solo un’influenza o qualcosa appena più grave. Questo paragone, indotto dalla somiglianza dei sintomi e delle vie di trasmissione, è stato usato, per negare, sottovalutare, tranquillizzare. Il suo messaggio era: ogni anno muoiono migliaia di persone per influenza. Le vittime sono persone vecchie e già malate. Con il Coronavirus è lo stesso. È una follia averne paura, pensare di chiudersi in casa, chiudere tutto. Sottotesto: noi giovani, belli e sani possiamo andare avanti come se niente fosse. Al limite, cerchiamo di recludere i più fragili e di proteggerli alla meglio, come facciamo per altre malattie, l’influenza, appunto.

Questo discorso cinico ed egoista per fortuna in Italia è rimasto minoritario, perché nel paese prevale una cultura solidaristica, che vuole curare e salvare tutte e tutti, anche chi sembra molto malandato e senza speranza. La riluttanza a fermarsi si è ammantata di volta in volta di motivi economici o libertari, ha trovato tra i suoi interpreti ciarlatani compulsivi desiderosi di mettersi in evidenza e talvolta, ha preteso di essere scientificamente fondata. Ma non poteva esserlo, perché il Coronavirus Covid-19 era, ed è ancora in molta parte, sconosciuto. Affrontare la pandemia, senza farmaci adeguati, senza sapere come il virus Covid-19 potrà mutare, con la scommessa dell’immunità di gregge, significava andare incontro a un suicidio collettivo. Come ha rischiato di fare la Gran Bretagna, che oggi con il suo ritardo spera di poter avere solo ventimilamila morti. O gli USA che ne sperano solo cento o duecentomila.

Coronavirus e influenza. I morti “per” e “con”

Un retaggio di questa irresponsabilità è la distinzione tra i morti “Per Coronavirus” e “Con Coronavirus”. Come se gli effetti di una malattia dovessero essere misurati su una popolazione perfettamente sana. L’assurdità di questa distinzione nel dibattito pubblico si rivela proprio nei confronti con l’influenza. Quando si sparano cifre di dieci, ventimila morti l’anno, non passa neanche per l’anticamera del cervello di separare i “ per” dai “ con”. Sono praticamente tutti “ con “.

L’istituto superiore della sanità calcola ottomila morti, per complicazioni dovute a influenza. La dottoressa Maria Rita Gismondo ha detto novemila quest’anno. Le vittime del Coronavirus sono ormai più di diecimila. E non abbiamo ancora raggiunto il picco dei contagi. Un numero sottostimato, forse di quattro volte. Il bilancio finale sarà pesante e non osiamo pensare cosa sarebbe stato senza il lockdown.

Posti in terapia intensiva e pazienti in crisi respiratoria | Strategia sanitaria

Il numero dei pazienti affetti da coronavirus in crisi respiratoria è superiore al numero disponibile dei posti in terapia intensiva. Questo è un aspetto dell’emergenza sanitaria provocata dalla virulenta epidemia di covid-19. Un aspetto che porta a polemizzare contro i tagli alla sanità pubblica dei governi passati. Una polemica che, però, non offre una soluzione immediata e necessaria all’emergenza.

La questione dei tagli alla sanità è controversa. La spesa pubblica per la sanità sarebbe in realtà aumentata in termini nominali. Tuttavia, meno dell’aumento dell’inflazione. E non abbastanza in rapporto all’aumento della popolazione anziana, cresciuta di un terzo negli ultimi vent’anni. Quindi, di fatto, le risorse destinate alla sanità si sono ridotte. Una riduzione che ha significato assumere meno medici e avere meno posti letto. Ma non meno posti in terapia intensiva. Questi sarebbero, anzi, aumentati. Ed ora, nell’emergenza, sono aumentati ancora.

D’altra parte, è impossibile immaginare di avere infiniti posti in terapia intensiva per occuparli all’infinito, mentre il contagio aumenta in modo esponenziale. Con pochi o tanti posti, l’epidemia va fermata. Per fermarla, c’è da discutere sulla strategia sanitaria, la più adatta alla gestione dell’emergenza.

Curare i pazienti contagiati in ospedale può trasformare gli stessi ospedali in focolai di contagio. È quanto dichiarano i medici dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo in una lettera al presidente della Regione Lombardia. Per gestire una epidemia, occorre, dicono i medici, passare da una strategia individuale di ospedalizzazione del paziente a una strategia comunitaria di assistenza domiciliare.

Lo stesso pare dedursi dal confronto tra Lombardia e Veneto. In Veneto hanno fatto molti più tamponi, curato molte più persone a casa, e ospedalizzato solo i pazienti più gravi. In questo modo, il Veneto è riuscito a tenere molto più basso il tasso di letalità del coronavirus. E a evitare il collasso dei reparti di terapia intensiva.

Del Coronavirus parliamo troppo?

Del Coronavirus parliamo troppo? Dovremmo parlarne solo per dire cose nuove e qualificate?

Ci ho pensato nel leggere un articolo che riferisce le dichiarazioni di Giuseppe De Rita, il fondatore del Censis, al Corriere della Sera. L’illustre sociologo dichiara di non parlare del Coronavirus da dieci giorni. Perché è uno snob e non vuol parlare di un argomento di cui parlano tutti. C’è un’abbondanza di comunicazione. Dodici pagine di giornale ogni giorno Non c’è da dire di più. Rilancia un pensiero simile, l’editorialista del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella. Nell’emergenza c’è bisogno di chiarezza e di comprensione. Chi ha responsabilità politica o scientifica dovrebbe pesare bene le sue parole invece di postare le sue opinioni in modo compulsivo sui social.

Del Coronavirus parliamo troppo, ma non può essere diverso

Mi sento d’accordo. Ed io stesso dovrei adeguarmi a quanto dicono il sociologo e l’editorialista. In parte lo faccio, in parte no. Da un mese circa, non leggo, non scrivo, non posto su nessun altro argomento. Ho in testa solo questo. È la pandemia del secolo. Come posso non parlarne? Se parlassi d’altro, mi parebbe di tradire la priorità. Non ho il problema di dire cose nuove. Ripeto tranquillamente quello che è già stato detto. Se lo ritengo giusto e se detto da fonti qualificate. Oppure, segnalo, contraddico, pensieri, dichiarazioni e comportamenti sbagliati. Tipo gli atteggiamenti di sottovalutazione, di ingiustificato ottimismo o di cinismo verso le persone meno protette. Sui social mi limito a linkare articoli e a scambiare qualche opinione. Idee e informazioni circolano e si affermano anche grazie alle ripetizioni.

Le mie idee o le mie rielaborazioni le scrivo qui. Su un blog isolato nel web. Fossi illustre, parlassi da una tribuna importante, si. Agirei come dicono De Rita e Stella, perché sarebbe troppa la responsabilità delle mie parole. L’emergenza, peraltro, non è il momento migliore, per discutere e dubitare. Per fare opposizione. Bisogna pensare di essersi messi sui binari giusti, per andare nella giusta direzione. Contraddire e polemizzare, invece di una correzione, può provocare un deragliamento.

Coronavirus le raccomandazioni individuali da sole sarebbero ingenue

Coronavirus, le raccomandazioni individuali da sole possono essere messe in alternativa alle misure collettive del governo? Direi di no, anche se c’è chi autorevolmente lo sostiene. Bisogna dire che l’intervista, che qui commento, è del 5 marzo. Oggi, è il 17 e la situazione è molto più pesante. L’intervistato è uno scienziato autorevole. Uno scienziato autorevole può sostenere una tesi sbagliata. In Italia abbiamo avuto e abbiamo scienziati importanti che sostengono la bontà dell’energia nucleare o negano la rilevanza del mutamento climatico. Possiamo avere anche uno scienziato di peso che nega la gravità del contagio da coronavirus.

Il comitato scientifico ha espresso dubbi sulla chiusura delle scuole, non per la misura in sé, ma per la brevità della scandenza. Era il 15 marzo. Infatti, il governo l’ha prolungata al 3 aprile. Forse la prolungherà ancora fino a Pasqua. L’OMS ha promosso le misure adottate dall’Italia. Compresa la chiusura delle scuole.

Coronavirus le raccomandazioni individuali da sole sarebbero una strategia ingenua e colpevole

La strategia proposta dallo scienziato sembra essere solo quella di affidarsi alle raccomandazioni individuali (lavarsi le mani, mantenere le distanze, uscire il necessario). È una strategia a dir poco ingenua. Ammesso che sia davvero possibile rispettarla rigorosamente, basta l’inevitabile e consistente minoranza fuori regola, perché il contagio si diffonda lo stesso in modo esponenziale. Persino con le restrizioni governative e regionali, nella sola Lombardia il 40% della popolazione circola ancora.

L’inerzia davanti alla diffusione del contagio non è sostenibile. Sia per una ragione umanitaria: la strage di anziani molto più grave, che ne conseguirebbe. Sia per una ragione strutturale: il collasso della terapia intensiva a fronte della pressione dei pazienti con crisi respiratoria.

Fare i tamponi anche agli asintomatici non era sbagliato. Abbiamo smesso di farlo, perché abbiamo ritenuto di non averne più i mezzi. E forse anche per il danno di immagine internzionale che risultava dall’elevato numero di contagiati. Ma come misura sanitaria cautelativa era giusto farli, come ha pure sostenuto anche la dottoressa Maria Rita Gismondo.

La strategia cinese e la strategia coreana

Peraltro, fare i tamponi a tutti, come in Corea del Sud, consente di evitare le quarantene di massa e di praticare le quarantene selettive. Ma lo scienziato contesta sia i tamponi a tutti (la strategia coreana) sia le quarantene di massa (la strategia cinese). Cioè, entrambe le strategie praticabili, le uniche nel mondo ad avere dato risultati.

Per forza di cose, egli va a convergere con la strategia (almeno iniziale) di Donald Trump e di Boris Johnson. Come sappiamo la scienza non è neutra e la lotta al contagio comporta pesanti sacrifici economici. Imprenditori e commercianti si sono opposti o hanno fatto notevole resistenza alle misure del governo. Questo può trovare la sua rappresentanza anche nella scienza.

La salute prima dell’economia e della libertà

Coronavirus Covid-19 — Contagiati e morti nel mondo dopo la Cina

Prima la salute. Ma siamo ancora impreparati ad affrontare l’epidemia di coronavirus. Ormai una pandemia. Ci dobbiamo formare l’esperienza sulla nostra pelle. Darci un modo di pensare collettivo focalizzato sulla priorità, animato dall’idea che non c’è tempo da perdere. Alcuni tardano ad abbandonare i propri riflessi di repertorio. È poco più di un’influenza; stiamo esagerando; n on si può chiudere tutto; le mascherine non servono. E sorridono all’idea di dover rispettare le norme di precauzione sanitaria. Altri hanno già imparato che queste frasi sono sbagliate e la loro persistenza dannosa. Così come hanno imparato a lavarsi le mani con frequenza, nei modi giusti e con il sapone.

Il conflitto contro la sottovalutazione lo abbiamo vissuto in ogni luogo, in casa, in ufficio, al circolo, in palestra. Di certo, si è manifestato in ogni sede decisionale, tanto più all’ingresso di altri interessi in gioco e dei relativi poteri. Un conflitto mondiale tra le strategie di Cina, Corea del Sud, Italia, Gran Bretagna, per affrontare o meno il coronavirus.

Per contenere il contagio, il governo si è misurato e si misura con gli imprenditori, i commercianti, gli artigiani, o anche soltanto con l’esuberanza umana. In una parola, con l’impopolarità. Si può capire, perché fermarsi costa molto: soldi, affetti, abitudini. Ma non fermarsi può costare molto di più, per poi ritrovarsi costretti tra breve ad arrestarsi lo stesso, in una reclusione molto più lunga. Senza contare che, per pagare il meno, è sempre possibile scambiare marzo con agosto.

La difficoltà del governo ad affermare “prima la salute”

Altri governi in Occidente, devono ancora mostrare di saper far meglio. Tuttavia, il governo italiano pare debole nel gestire una situazione eccezionale ed estrema. In effetti, lo è per composizione, consenso popolare, mentalità. Esso stesso è diviso tra chi dice “ Prima la salute” e chi dice “ Non si può chiudere tutto “. Allora, gestisce la crisi sanitaria mediante la persuasione e la raccomandazione; si affida al senso civico o al semplice buon senso. Riduce l’autoritarismo all’indispensabile e lo introduce con gradualità e compromessi, per considerare le riluttanze dell’economia e della società. Cerca di contemperare tutto nel giusto equilibrio. Un equilibrio ricercato in corso d’opera, con una comunicazione giornalistica assertiva e una comunicazione legislativa ambigua, aperta alle interpretazioni e a molte eccezioni.

Forse c’è del buono in questo stile di governo. Che si preoccupa e al tempo stesso preoccupa sul lato del rigore giuridico e costituzionale, per l’evocazione dittatoriale. Sarebbe, però, più apprezzabile in una situazione ordinaria quando si può avere pazienza, perché c’è molto tempo a disposizione. Invece, nella situazione straordinaria di una rapida e sconosciuta epidemia virale, dove la lotta è anche contro il tempo, c’è spazio per una sola priorità. La più importante: la salute prima dell’economia e della libertà.

La libertà in quarantena? La libertà è la coscienza della necessità

Circola una preoccupazione democratica negli ambienti della sinistra alternativa. Che le restrizioni del governo, necessarie a contenere il contagio da coronavirus, possano limitare in modo stabile la democrazia. La libertà in quarantena come conseguenza della quarantena sanitaria.

Far fronte all’emergenza porta a rivalutare il principio d’autorità. La capacità risoluta di prendere decisioni. Il controllo. La videosorveglianza. La limitazione della libertà di movimento. Persino quella di poter uscire di casa. Che impronta lascerà tutto questo nel futuro delle nostre relazioni sociali?

La libertà in quarantena è la postura della destra

La preoccupazione diventa allarme quando vede le destre invocare una zona rossa sempre più estesa e chiusa. Chiudiamo tutto in Lombardia, in Italia, in Europa. Le regioni del Nord amministrate dalla Lega premono sul governo. Vogliono ottenere ulteriori facoltà di chiudere, restringere, limitare le attività produttive, commerciali, gli uffici, i trasporti. Mentre analisti e commentatori, anche sui giornali democratici, spendono parole di elogio per il modello di governo cinese.

Le destre vorrebbero un commissario straordinario. Ma una simile figura potrebbe creare una diarchia con il presidente del consiglio. Proprio dal punto di vista della necessaria autorità, è meglio che nell’emergenza il capo sia uno: il capo del governo.

In altre parti del mondo, per esempio negli Stati Uniti di Donald Trump, l’autoritarismo della destra milita dalla parte opposta. Sottovaluta e nega il contagio. Invece di prendere precauzioni, sollecita i malati lievi ad andare al lavoro.

Le allerte democratiche sono comprensibili, perché l’autoritarismo è una tendenza della società e trova nella logica emergenziale la condizione per legittimarsi. Tuttavia, è sbagliato usare la preoccupazione democratica per generare scetticismo e opposizione nei confronti delle disposizioni governative volte a contenere il contagio.

La priorità è fermare l’epidemia

Adesso la priorità immediata è fermare il coronavirus. Alleviare la pressione sulle strutture sanitarie, curare e assistere i malati, salvare vite umane. Impedire una strage di anziani. Perciò, difendere la democrazia e la libertà significa mostrare che la democrazia liberale è efficace. Perché capace di tutelare la salute e la vita delle persone. Senza impedire, ritardare, o perdersi in astrusità. Mostrare il contrario significa rafforzare l’ammirazione per il modello cinese e il desiderio di autoritarismo.

Superata l’emergenza, sopravvissuti e sani, avremo modo, tempo ed energia, per aggiustare ogni possibile guasto democratico. D’altra parte, il coronavirus dà modo di affermare il valore della sanità pubblica, la ricerca scientifica, l’azione collettiva e la cooperazione. Valori democratici e illuministi.

La necessità è cieca fino a quando non se n’è presa coscienza. La libertà è la coscienza della necessità “ (Friedrich Engels)

Contenere il contagio. La responsabilità dei leader diffusi

Il governo ha chiuso la Lombardia e quattordici province, al fine di contenere il contagio di Coronavirus. Prima che si diffonda nelle grandi città. Il nuovo decreto del governo, che ha esteso le zone rosse, con alcune incertezze interpretative, si è reso necessario, per due ragioni.

La prima ragione è quella di considerare l’eccessivo stress delle strutture sanitarie. Al Nord non ce la fanno più a sistemare in terapia intensiva i malati di polmonite. Lo ha detto in modo chiaro una rianimatrice in video: state a casa, perché non abbiamo abbastanza respiratori. Quando saranno finiti i respiratori, dovremo bloccare le sale operatorie e rinviare le operazioni chirurgiche non urgenti. Se il contagio si diffondesse al Sud, dove il sistema sanitario è più fragile, la situazione sarebbe ancora peggiore.

La seconda ragione è la sottovalutazione popolare. La cittadinanza non si sta autogovernando e non segue le raccomandazioni delle autorità politiche e sanitarie. Sono significative le immagini diffuse ieri che mostrano, a Milano, i Navigli e Corso Buenos Aires. Vie e corsi brulicanti di persone a fare lo struscio e ad affollare i locali. Come pure la varie iniziative e manifestazioni in giro per l’Italia. O gli affollamenti su funivie e piste da sci, che implicano assembramenti in spazi ristretti.

Contenere il contagio. L’ostacolo degli individualisti, fatalisti, scettici e delle persone fedeli ai loro leader affettivi

C’è l’idea che gli italiani siano individualisti, fatalisti e poco inclini a seguire le regole. Nelle conversazioni, capita di ascoltare discorsi scettici e persino negazionisti, pure da parte di persone colte e intelligenti, con tutto un repertorio di diversivi. Da quelli preoccupati per l’economia, a quelli preoccupati per la libertà, per finire con quelli che fanno il confronto rassicurante con altre malattie. Infezioni e malanni più letali nel passato o meno osservati nel presente. Come se il sistema immunitario, inesistente contro il Coronavirus, si facesse resistente alla presa d’atto della realtà. Della diffusione del contagio, del suo aumento esponenziale, degli aggravamenti e delle morti, dei limiti del servizio sanitario.

Oltre all’individualismo e al fatalismo, c’è la fedeltà al gruppo di appartenenza e al suo leader. Spesso, quando dobbiamo compiere una scelta, decidere come comportarci, prendiamo a modello l’esempio di qualcuno. Una personalità che ha ascendenza su di noi, autorità nella nostra rete di relazioni. È la nostra o il nostro leader più prossimo e familiare. Il leader affettivo. In famiglia, a scuola, nella cultura, sul lavoro, in politica, nello sport. Insieme fanno la moltitudine dei capi-gruppo, capi tribù, leader diffusi. Se questa moltitudine non è bene orientata, la collettività prende la direzione sbagliata. La sottovalutazione o l’estremo opposto: il panico. Come l’ assalto serale dalla Stazione di Milano per tornare al Sud, con il rischio di potare il contagio in meridione. I governatori meridionali chiedono, infatti. la quarantena, per chi scende dai treni provenienti dalle zone rosse.

Necessarie le imposizioni

Il guaio è che nell’emergenza, può mancare il tempo di orientare, di formare il giusto senso civico. Allora, sono necessarie le decisioni d’autorità, le imposizioni e le sanzioni. In modo graduale, il governo procede in questo senso. Decide ogni volta una restrizione più ampia e più forte. Seppure preveda poi, però, varie generiche eccezioni per ogni norma restrittiva. Eccezioni che dovranno venir meno, se le restrizioni si riveleranno insufficienti.

C’è chi si preoccupa dello sdoganamento dei modelli di controllo e di dominio, che approfitta delle emergenze, compresa questa del contagio. Una preoccupazione da tener presente, ma da non usare come ostacolo. La priorità è contenere e fermare il contagio. Un contagio che può fare una strage di anziani. Ci sarà tempo e modo, poi, da sopravvissuti di rimediare agli eventuali danni inflitti alla libertà.

Approfittare del Coronavirus | per cambiare il mondo

Se l’ epidemia durerà mesi, forse con un aumento esponenziale dei contagiati, alcuni ne approfitteranno. Tra questi potranno approfittare del Coronavirus coloro che useranno il rischio del contagio, per dare una sterzata al mondo, nel senso da loro desiderato.

Per esempio, l’ allarme dell’OMS circa i rischi di contagio dovuti alla circolazione delle banconote e delle monete. Potrà essere l’occasione per decidere finalmente una misura di igiene sanitaria e fiscale al tempo stesso. Consentire solo i pagamenti digitali con bancomat e carte di credito. Una riforma economica ancora più grande potrà essere la fine dell’austerità, per fronteggiare i costi dell’emergenza sanitaria.

Autoritarismo vs democrazia e libertà

Altre riforme potranno andare nel senso di un mondo più igienico, disciplinato e controllato. Disposizioni e raccomandazioni insistono sul lavarsi le mani, pulire le superfici, potenziare i servizi igienici, avere i gabinetti sempre forniti di sapone. Un’occasione per migliorare le proprie abitudini igieniche e per il commercio di detergenti e disinfettanti. Le persone evitanti si troveranno più a loro agio nell’osservare le distanze di sicurezza da persona a persona. Meglio evitare di baciarsi, abbracciarsi, stringersi la mano, salire più di uno in ascensore, riunirsi in troppi per troppo tempo. Più sicure le interazioni virtuali. La critica potrà rivalutare Internet. E i sistemi di videosorveglianza, quelle telecamere che permettono di individuare i contagiati, riconoscerli, misurargli la febbre.

Un mondo più controllato sarà un mondo più autoritario? Forse si. E d’altra parte, possono la libertà e la democrazia essere valori in opposizione alla salute? Prevenire e contenere un contagio, richiederà decisioni rapide, indicate dalla scienza medica più che dalla politica. Decisioni che saltano le mediazioni e impongono sacrifici. Libertà e democrazia potranno difendersi con l’argomento della trasparenza e del controllo partecipato. Si può decidere in modo tempestivo e appropriato, se si è informati per tempo in modo corretto. Anche la tentazione di frontiere più chiuse, per fermare le contaminazioni, dovrà cedere il passo a frontiere più aperte. Per far circolare le informazioni, la cultura, la cooperazione.

Approfittare del Coronavirus per la sanità pubblica e il lavoro riproduttivo

Un modello di cooperazione è la sanità pubblica. Il contagio di coronavirus sembra annullare il confronto tra pubblico e privato nella sanità. Nel contenimento e nella cura dell’epidemia esiste solo il servizio sanitario nazionale. La sanità pubblica italiana ha fatto oltre 21 mila tamponi. La sanità privata americana ne ha fatti appena cinquecento su una popolazione cinque volte superiore.

Nell’affermare il primato della salute pubblica c’è lo spazio, per valorizzare il lavoro riproduttivo. E un giusto equilibrio tra riproduzione e produzione, che veda nella qualità della prima la condizione della seconda. Lo sfruttamento umano (di fatto maschile) dell’ambiente ha privato molte popolazioni dell’alimentazione proteica. E le ha costrette a cibarsi di tutto, anche di animali selvatici, come il possibile pipistrello che ha trasmesso il nuovo virus agli esseri umani. Quindi, trattare l’igiene, la corretta alimentazione, la preservazione della natura, come priorità dell’economia. E poiché sono le donne le più specializzate e competenti nel lavoro di cura e riproduzioni, allora possiamo approfittarne. Per promuovere la piena partecipazione delle donne alla gestione dell’economia e delle politiche economiche.

Coronavirus in Italia. Cosa è cambiato che non abbiamo immaginato

Arrivato il Coronavirus in Italia, cosa è cambiato rispetto a tre settimane fa, quando ne ho scritto la prima volta? Cosa è cambiato che non ho immaginato? Cosa riscriverei in modo diverso? Vado per ordine.

Il concetto di incidente della globalizzazione fa pensare che la soluzione migliore sia la chiusura. A rigore potrebbe esserlo. Ma è un po’ come dire che la soluzione migliore al rischio della morte è non nascere, non vivere. La globalizzazione è un pericolo di contaminazione come è una opportunità per cooperare contro i pericoli.

La paura del Coronavirus in Italia

La paura ci divide secondo la personalità. Per alcune persone, le precauzioni sono necessarie e non sono forse abbastanza. Un comportamento che va dal principio di precauzione ragionevole, che accetta le limitazioni disposte dalle autorità, all’irrazionalità del panico, che prende d’assalto i supermercati e fa incetta di mascherine e amuchina. Per altre persone, le precauzioni sono esagerate, il rischio di contagio non è così grande, la malattia non è così grave, la sospensione delle attività sono drammatizzanti.

Tuttavia, la paura del contagio, di spostarsi e incontrarsi, è una paura solo iniziale, che non può durare molto. Già dopo una settimana, le persone accettano sempre meno di recludersi e limitarsi nella propria libertà e socialità. Attenuano la percezione del pericolo e dilatano il principio del rischio accettabile. Così, le persone più prudenti tendono a convergere con quelle più inclini alla sottovaluzione. Se però il contagio perdura e si aggrava, l’incontro tra i due “partiti” avverrà a metà strada, perché il pericolo assumerà sembianze più evidenti, riconoscibili anche dai banalizzatori.

Intanto, anche le ragioni immediate dell’economia si ribellano alle ragioni immediate della sanità. La politica deve trovare una mediazione. Possiamo pensare, ed io lo penso, che la salute sia prioritaria, ma la mediazione rimane necessaria, perché un sistema sanitario forte ed efficiente implica una economia sana, capace di mantenerlo. D’altra parte, è difficile che una popolazione in preda ad un contagio possa garantire la salute dell’economia. Se, non ci ferma la prudenza, ci fermerà il virus.

La paura all’estero degli italiani

Con il Coronavirus in Italia, il rischio del contagio non è più remoto e mediatico. Sapevo che ci avrebbe raggiunto, ma speravo sarebbe accaduto nella tarda primavera, con il sopraggiungere del caldo, quando i virus influenzali diventano più deboli e tendono a estinguersi. Ora so che non vi è certezza sul carattere stagionale del Coronavirus ed ho visto che ormai ci ha già raggiunti. In Italia si contano oltre un migliaio di contagiati e decine di decessi. Siamo, dopo la Cina e la Corea del Sud, il terzo paese più coinvolto nel mondo. Tanto che alcuni paesi, credo diciassette, chiudono le frontiere agli italiani come ai cinesi. Il passaporto italiano può valere meno del passaporto marocchino. È la legge del contrappasso della nostra xenofobia.

La prova abbastanza buona dell’Italia

Nonostante limiti ed errori, credo possiamo essere soddisfatti dell’Italia, della sua sanità pubblica. Siamo impreparati e, nell’impreparazione, secondo me, ci muoviamo abbastanza bene. Stiamo facendo molti più controlli degli altri paesi, motivo per cui troviamo più contagiati. Abbiamo fermato molte attività nelle Regioni del Nord e diviso il paese in tre parti, con la consapevolezza di pagare un costo economico. Un po’ abbiamo sbandato nel passare dalla drammatizzazione alla minimizzazione, ma è stata una sbandata fisiologica. In verità, credo stiamo tenendo la strada. L’Italia, in particolare le donne italiane, ricercatrici e precarie, hanno isolato il virus ed hanno identificato il ceppo italiano. Sempre la medicina italiana ha ricostruito il momento in cui il Coronavirus è diventato un virus umano e come ha fatto a diventarlo. Sono progressi medico scientifici che possono avvicinare il traguardo del vaccino. Un traguardo che potrebbe essere raggiunto proprio dall’Italia.