Sul Corriere della Sera del 28 dicembre 2018, a commento di un caso di femminicidio, Luisa Muraro interroga la civiltà patriarcale. Chiede come può un onesto tranviere, in una città come Milano, uccidere una giovane donna, sua ospite, che rifiuta di fare sesso con lui. In parte se lo spiega così: la prepotenza maschile non è limitata da un imperativo dotato di efficacia simbolica paragonabile al rispetto della proprietà privata. Oggi non valgono più le norme patriarcali che regolavano l’accesso degli uomini al corpo femminile e facevano da argine negativo. Ma il principio dell’inviolabilità del corpo femminile non si è affermato nella cultura maschile.
Si può obiettare alla filosofa che molti ladri violano la proprietà privata. Ma i ladri, in genere, non sono ritenuti persone rispettabili e integrate, da consegnare alla psicologia o alla psichiatria dopo un furto inaspettato e sorprendente. Si può ancora obiettare che esiste già l’imperativo di non uccidere e che la maggior parte delle vittime sono uomini. Però, le vittime maschili di solito sono uccise da altri uomini, in un contesto di estraneità e criminalità. Alle donne, invece, succede di essere uccise dagli uomini loro parenti, amici e conoscenti, per essersi rifiutate di corrispondere le aspettative maschili.
L’inviolabilità del corpo femminile fraintesa come assoluto
Il principio di inviolabilità del corpo femminile può evocare nella mente di un uomo un assoluto, simile al tabù dell’incesto materno. Il corpo della madre è inviolabile anche se, per assurdo, lo consentisse o lo desiderasse lei stessa. Forse, il tabù dell’incesto è un principio di obbedienza nei confronti del padre, che esige la separazione tra madre e figlio. Se così fosse, il declino dell’autorità paterna potrebbe indebolire l’imperativo di non desiderare la madre. Un imperativo già oggi superato in alcune categorie dell’immaginario e della produzione pornografica. Per quanto sia dannoso il sesso tra consanguinei, non esiste un tabù di forza analoga all’incesto materno nei confronti delle sorelle e delle figlie.
Così come il corpo della madre è inviolabile, indipendentemente dalla volontà di lei, il corpo delle altre donne, con o senza il consenso, è violabile. Ed è violato. O per un fatto anatomico: l’uomo entra nel corpo della donna. O per un fatto culturale: il rapporto sessuale simboleggia i significati di dominio, possesso, sottomissione, del rapporto tra i sessi nella storia e nella società.
Senza una teoria della libertà femminile
L’ onesto tranviere non è un uomo perbene. Le sue modalità di relazione con le donne sono note ai colleghi di lavoro. Con essi era solito vantarsi delle sue prodezze e da una collega era stato pure segnalato per stalking. Evidentemente non ha incontrato una disapprovazione sociale sufficiente. Come invece l’avrebbe incontrata un ladro che si vantasse di rubare. La vittima, inoltre, aveva segnalato alle forze dell’ordine i comportamenti molesti dell’uomo. Ma la polizia, in mancanza di una formale denuncia, non si è sentita in dovere di prevenire un probabile comportamento delittuoso. Come invece sarebbe accaduto nei confronti di un sospetto criminale di altro tipo.
Alla mancata affermazione del principio dell’inviolabilità del corpo femminile, Luisa Muraro aggiunge che non si è formata, nella nostra civiltà, una teoria della libertà femminile. Se non quella dei diritti degli uomini estesi alle donne, con esiti insensati come il diritto all’aborto o ambigui come il diritto a prostituirsi. Tra le conseguenze del deficit teorico sulla libertà femminile ce n’è uno che voglio segnalare e riguarda la responsabilità collettività e istituzionale. Se assunta a tutela dell’ individuo è doverosa. Se assunta a tutela delle donne rischia di essere vissuta come paternalistica o come una limitazione della stessa libertà femminile. Con la scusa di evitare questo rischio, la collettività e le istituzioni spesso praticano e giustificano la propria colpevole negligenza.